Nei decenni passati, l’austerità e il pensiero neoliberista hanno fatto crescere le disuguaglianze, la disoccupazione, la povertà, le paure, l’incertezza.
La pandemia ha aggravato queste contraddizioni, esasperate ulteriormente dall’invasione russa dell’Ucraina, dalla crescita del costo dell’energia, dall’impennata dell’inflazione.
Nuove politiche diventano necessarie e urgenti.
Le politiche europee avviate durante la pandemia devono tendere verso una vera Unione degli Stati europei, più democratica, più sociale, più partecipata, più sostenibile.
Un’Europa del lavoro, dei diritti, della giustizia sociale, delle pari opportunità.
Un’Europa per tutte e tutti, che rilanci i suoi valori fondativi e il suo modello di welfare e di servizi pubblici e universali.
Purtroppo invece si delinea il rischio di un ritorno in Europa a una impostazione rigorista che privilegia l’austerità a scapito dello sviluppo, della coesione, degli investimenti, dell’occupazione.
Anche in Italia si stanno delineando politiche inadeguate a far fronte all’impennata del costo della vita, all’impoverimento di milioni di lavoratori e di pensionati, alla crescita della precarietà nel lavoro, soprattutto tra i più giovani, alle sfide dell’innovazione.
Come Spi Cgil, Fnp Cisl, Uilp Uil siamo convinti che l’allungamento della durata media della vita richieda un cambiamento complessivo di tutte le politiche, in ogni aspetto della società, dall’economia al fisco, dal lavoro all’innovazione, dal sociale alla sanità, dalla cultura alle politiche abitative. Le risposte dei governi finora sono state inadeguate.
Noi donne e uomini anziani rappresentiamo oggi in Italia circa un quarto della popolazione.
Contribuiamo ogni giorno alla vita sociale ed economica dell’Italia. Aiutiamo figli e nipoti.
Un aiuto che è stato, e che sarà ancora, determinante per la tenuta del Paese.
Siamo impegnati nel volontariato e nell’associazionismo per generare coesione sociale attraverso attività a favore dei più fragili e per sviluppare il dialogo e la cooperazione tra le generazioni.
Siamo portatori di saperi e di cultura. Siamo la memoria del sindacato, della sua storia, delle sue conquiste.
Ma del sindacato siamo anche la contemporaneità. Rivendichiamo con orgoglio il nostro ruolo.
Vogliamo partecipare alla costruzione del presente e del futuro dell’Italia.
Vogliamo partecipare alla costruzione del presente e del futuro del movimento sindacale.
Ci sono, però, anche tante persone anziane in difficoltà, povere, sole, malate, non autosufficienti.
Queste persone anziane, spesso molto anziane, hanno bisogno di aiuti, sostegni, servizi e di vedere riconosciuta la loro dignità.
Noi vogliamo evitare che l’invecchiamento diventi esclusione, povertà, cronicità.
Vogliamo che tutte e tutti possano invecchiare attivi e in buona salute: giovani, adulti e anziani, donne e uomini.
È un vantaggio per le persone.
È un vantaggio per l’intero Paese. Per questo servono buone politiche.
Abbiamo delle proposte, serie, realizzabili, costruttive.
Abbiamo una piattaforma unitaria confederale, in cui sono contenute anche le nostre rivendicazioni.
Per raggiungere i nostri obiettivi abbiamo dato vita a una vasta mobilitazione unitaria. Per parlare con le persone.
Per ottenere risposte dalle istituzioni.
Il Governo deve riaprire il confronto con il movimento sindacale e con i sindacati dei pensionati, sulla previdenza, sulla sanità, sulla non autosufficienza, sul fisco, sulla rigenerazione urbana e su tutti gli altri temi che interessano giovani, lavoratori e pensionati.
PENSIONI ADEGUATE E CHE NON PERDANO VALORE CON IL PASSARE DEL TEMPO. MENO TASSE A PENSIONATI E LAVORATORI.
Il blocco della perequazione definito dal Governo Monti sui trattamenti di importo superiore a tre volte il minimo, insieme ad altri interventi che hanno modificato il sistema di rivalutazione, ha prodotto in 10 anni una perdita di valore lordo, e quindi un “risparmio” per lo Stato, di circa 100 miliardi di euro.
Nel 2022, il Governo Draghi, grazie al ruolo e alla mobilitazione del sindacato confederale e dei pensionati, aveva ripristinato un sistema di rivalutazione delle pensioni più equo.
Nel 2023, il Governo Meloni, senza alcun confronto con il sindacato, ha invece nuovamente introdotto un meccanismo di rivalutazione delle pensioni all’inflazione più penalizzante e iniquo, per importi complessivi invece che per scaglioni, e ha tagliato la rivalutazione a tutte le pensioni di importo superiore a quattro volte il trattamento minimo (cioè superiore a circa 2.100 euro mensili lordi).
Questo taglio, nel solo 2023, vale circa 3 miliardi e mezzo di euro lordi. Risorse sottratte a pensionate e pensionati con trattamenti che derivano dal versamento di tanti anni di contributi durante tutta la vita lavorativa.
Ancora una volta, i pensionati sono stati utilizzati come un salvadanaio.
Un intervento tanto più problematico, perché deciso in un momento di forte crescita dell’inflazione, con un innalzamento significativo dei costi dell’energia e dei beni di prima necessità.
Serve una chiara inversione di tendenza.
Occorre garantire la piena tutela del potere d’acquisto delle pensionate e dei pensionati.
Questa tutela deve avvenire anche con adeguate politiche fiscali, aumentando il valore lordo e netto delle pensioni, operando dunque anche una sterilizzazione degli effetti del fiscal drag.
Su circa 41 milioni di contribuenti, quasi il 90% è rappresentato da dipendenti (22 milioni) e da pensionati (14,5 milioni), per un totale di 36 milioni e mezzo di persone.
Oggi i pensionati italiani pagano più tasse rispetto a tutti gli altri titolari di reddito in Italia e pagano circa il doppio di tasse rispetto alla media dei pensionati europei.
Nel nostro Paese l’evasione fiscale annuale è di oltre 100 miliardi di euro.
Come sancito dalla Costituzione, le imposte devono essere la concretizzazione del patto sociale, poiché sono il mezzo attraverso cui si raccolgono le risorse per pagare il welfare pubblico, la sanità, l’istruzione, gli investimenti pubblici, a livello nazionale come locale per salvaguardare i territori dal punto di vista ambientale e consentire il loro sviluppo economico e sociale.
Chiediamo, sulla scorta del dettato costituzionale, una riforma fiscale redistributiva che risponda a criteri di equità, solidarietà, progressività.
Il disegno di legge delega di riforma fiscale del Governo Meloni non risponde ai principi della Carta.
In questo quadro lo stesso termine riforma acquisisce connotati regressivi.
Si tratta di un provvedimento che consente una ulteriore fuga dalla tassazione IRPEF a redditi cui verranno applicati tributi più favorevoli, caricando sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati un onere ingiusto e insostenibile.
Per fare un esempio, nell’incontro con il Governo di illustrazione della norma ci è stata preannunciata come primo step della “riforma” una riduzione del sistema verso 3 aliquote, quindi con meno progressività.
L’obiettivo, come scritto, è la flat tax.
A nostro parere sono invece necessari:
Più reddito alle pensionate e ai pensionati vuol dire maggior benessere delle famiglie, maggiori consumi, maggiore sviluppo, maggiore crescita, maggiore lavoro.
La gran parte delle imprese italiane produce per i consumi interni e le persone anziane rappresentano quasi un quarto della popolazione.
Sostenere i redditi dei pensionati vuol dire quindi anche sostenere l’economia, per il bene di tutto il Paese.
Si deve fare finalmente chiarezza sull’entità della spesa previdenziale italiana e intervenire sulle modalità di rilevazione, separando la previdenza dall’assistenza.
Un’operazione verità che va fatta coinvolgendo le Parti Sociali.
Valutiamo negativamente che nell’Osservatorio della spesa previdenziale istituito nel maggio 2023 dal Governo Meloni non sia prevista anche la partecipazione delle Organizzazioni Sindacali.
Non è vero che spendiamo molto più delle altre nazioni europee per la previdenza e molto meno per l’assistenza.
Nella spesa italiana, come oggi viene comunicata alle Istituzioni europee, sono comprese molte voci che non hanno natura previdenziale e che non hanno corrispondenza nelle rilevazioni degli altri Paesi europei.
Il peso della fiscalità sulle pensioni, inoltre, è maggiore in Italia rispetto alle altre nazioni.
Tutto questo determina una rappresentazione fuorviante della spesa pensionistica italiana, che in realtà è in linea con la media europea.
È anche grazie a queste cifre inesatte che l’Unione europea continua a chiedere all’Italia aggiustamenti, riduzione della spesa previdenziale e tagli alle pensioni presenti e future.
Non ci può essere confusione fra previdenza e assistenza neppure quando si ipotizzano misure di sostegno al reddito.
Aumentare trattamenti sociali e trattamenti per le persone con disabilità è giusto e necessario, ma le risorse devono essere prese dalla fiscalità generale.
Se si deve chiedere un contributo di solidarietà, deve essere chiesto a tutti i possessori di un reddito elevato, di qualunque tipo: reddito da pensione, reddito da lavoro, reddito da patrimonio.
Basta con gli interventi sbagliati, parziali o temporanei.
Serve una riforma strutturale del sistema pensionistico per:
Senza un lavoro stabile, di qualità e retribuito adeguatamente, non ci potrà essere alcuna vera stabilità e sostenibilità del sistema previdenziale.
Se il lavoro manca, è precario o mal pagato, sono a rischio le pensioni attuali e future.
Anche per questo è necessario rafforzare i legami e l’impegno comune tra le generazioni.
Il tema delle basse retribuzioni e della precarietà, soprattutto tra i giovani, si intreccia quindi strettamente al tema della sostenibilità delle pensioni, di oggi e di domani.
Per costruire pari opportunità tra donne e uomini, di ogni età, si deve:
La pandemia, sia nella fase di emergenza che successivamente, ha visto il nostro Servizio sanitario nazionale fortemente indebolito, sottoposto per lunghi anni a sotto finanziamenti e a processi di riorganizzazione che hanno prevalentemente tagliato servizi, accresciuto le liste d’attesa impoverendo i cittadini costretti a rivolgersi alla sanità privata, senza (salvo rare eccezioni) riuscire a riorientare le prestazioni ai nuovi bisogni di salute, tra i quali quelli indotti dall’invecchiamento della popolazione.
Sebbene gli operatori e le operatrici del SSN e dei servizi sociali abbiano compiuto uno sforzo eccezionale, con un tributo altissimo, la pandemia ha provocato enormi danni in campo sanitario, sociale ed economico.
Gli anziani hanno pagato un prezzo elevatissimo sia in termini di vita (oltre 150mila morti) che di privazione di relazioni affettive e sociali e hanno scontato duramente la mancanza di una politica nazionale per la non autosufficienza.
L’opinione pubblica ha preso consapevolezza del valore di un servizio sanitario pubblico e universale ed è emersa la necessità che l’autonomia delle Regioni sia indirizzata da una efficace politica sanitaria nazionale che garantisca effettivamente ed efficacemente i livelli essenziali di assistenza.
Per questo ci preoccupa il percorso avviato con il disegno di legge “sull’autonomia differenziata” approvato dal Governo, che potrebbe acuire il gap tra le Regioni.
Il pericolo che queste consapevolezze si disperdano oggi è altissimo: non bisogna permettere che ciò accada! “La fase del dopo emergenza” non deve e non può essere un ritorno alla situazione precedente.
Dopo la drammatica emergenza pandemica ci aspettavamo forti investimenti per la sanità pubblica.
Invece il Governo nel DEF 2023 non fa che confermare la riduzione della spesa sanitaria.
Oggi oltre 3 milioni e mezzo di persone, in larga maggioranza anziane e in prevalenza donne, non sono più autosufficienti. Milioni di famiglie si trovano ad affrontare quotidianamente, spesso da sole, grandi disagi, sofferenze e rischi di impoverimento. La non autosufficienza rappresenta una priorità assoluta per il nostro Paese, ma non si riesce ancora ad affrontarla in modo serio e adeguato. Oggi abbiamo a disposizione due strumenti, conquistati grazie alla mobilitazione di questi anni, che però devono essere attuati e finanziati:
Si dovrà affermare il principio di uguaglianza del diritto alle cure e all’assistenza, con una copertura di carattere pubblico, universale ed uniforme, finanziata dalla fiscalità generale, superando la frammentarietà e riducendo le disuguaglianze tra aree del Paese.
Ecco perché ci mobilitiamo: vogliamo essere ascoltati. È ora che i diritti e i bisogni delle pensionate e dei pensionati entrino nell’agenda di Governo e Parlamento.